chi siamo? we are the one.
una banda.
una banda di poeti che accendono fuochi nelle praterie e una banda di guerriglieri che marciano su sentieri di nidi di ragno. abbiamo quindi ruoli interscambiabili perchè non crediamo nei ruoli. applichiamo la teoria del "mordi e fuggi" con "piccole" varianti: cerchiamo, con i morsi di trasmettere la rabbia piuttosto che l'indignazione -siamo consapevoli che la rabbia sia più lunga da curare dell’indignazione che dura solo il tempo che trova (e di solito ne trova poco date le molteplici occasioni che oggi ha x sostituirsi a se stessa)- e quando fuggiamo cerchiamo di non farlo mai alla cieca, ma sempre sperimentando nuove linee di fuga e percorsi mentali (psicogeografici) che conducano in luoghi ancora da esplorare e liberare. non ci piacciono i luoghi comuni, sempre troppo affollati, ma amiamo i luoghi in comune molto affollati. non abbiamo capi tranne qualche generale che abbia abbondantemente dimostrato di avere in testa abbastanza labirinti da perdercisi dentro e quindi interferire poco (o, meglio, niente) con noi... libero di dare ordini ai suoi propri fantasmi che prontamente obbediscono come ogni fantasma che si rispetti. non intendiamo fondare internazionali di nessun genere (nonostante la foto del profilo) e solo uno di noi è stato a cosio d'arroscia per comperare qualche capo di bestiame da liberare.(in seguito ha affermato che non ci tornerebbe nemmeno in primavera per raccogliere erbe montane per le sue tisane.) siamo allergici ai controlli e alle censure: rifuggiamo allegramente ogni luogo in cui questo può verificarsi. non siamo su facebook e non siamo su twitter. ( stiamo, per il momento, sperimentando "identi.ca" su cui uno di noi aveva qualche anno fa un account peraltro mai usato). non ci piacciono i nomi comuni e, tantomeno, diamo credito a quelli propri. dopo "aspro" dibattito (aspro in effetti era più il vino quella sera) abbiamo adottato il sistema dei nativi americani: il nome di ognuno sia qualcosa che indica ciò che ciascuno è in quel preciso momento della sua esistenza. ("piccolo cacciatore di scriccioli" a dieci anni diventa, "naturalmente", "codino intrecciato che guida i bisonti sul mustang domato" a diciassette.) e ci chiediamo perchè tutti sono mario rossi per sempre e lo accettano come normale...e, sopratutto, accettano come normale che venga usato contro di loro per spedire multe di equitalia e/o per farsi vendere un bagnoschiuma che usa un "amico" con cui non hanno mai scambiato una parola perchè una volta hanno "cliccato mi piace" su un a/social network? riteniamo che qualsiasi forma d'arte non sia un insieme di immagini, bensì un rapporto sociale tra individui quello mediato dalle immagini e/o dalle parole. l'"arte", compresa nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. non è un supplemento del mondo reale, una sua "decorazione sovrapposta": è il cuore dell’ irrealismo della società reale! costituisce il modello presente della vita socialmente dominante. l'affermazione onnipresente della scelta già fatta nella produzione, e, il suo consumo conseguente.
SU QUESTO ABBIAMO MOLTO
DA DISCUTERE!!!
non si è mai visto un errore crollare per mancanza di una buona immagine. le immagini esistenti non provano altro che le menzogne esistenti.
siamo consapevoli che bisognerà presto lasciarla quest' arte che è caduta interamente nele mani del nemico.
bisognerà lasciarla ma nn senza aver tentato una volta di impadronirsene a forza aperta. bisognerà (infine) lasciarla, dopo tante altre cose, per seguire la via determinata dalle necessità della nostra strana guerra che ci sta portando così lontano.
ci facciamo vanto di fare arte e guerra di guerriglia con qualsiasi cosa. e troviamo divertente che ci critichino e se ne lamentino proprio coloro che hanno lasciato fare di tutta la loro vita nn importa cosa.
e sempre vale, con le parole di palaniuk, che una cosa è certa: "il peggiore dei pompini sarà sempre meglio, per dire, della più profumata rosa, del più fantastico dei tramonti, delle risate dei bambini. io nn credo che leggerò mai una poesia bella quanto uno di quegli orgasmi che ti mandano a fuoco, ti fanno venire i crampi al culo, ti inondano le budella. [...] dipingere un quadro, comporre un opera, sono tutte cose che fai per riempire il tempo tra una scopata e l'altra".
il mondo in cui viviamo, prima di tutto nel suo scenario materiale, si rivela di giorno in giorno più stretto. soffocante.
subiamo profondamente la sua influenza e (ma) reagiamo adesso secondo i nostri istinti piuttosto che secondo le nostre ispirazioni.
in una parola, questo mondo comanda il nostro modo di essere e così ci schiaccia.
è solo dal suo riassetto, più esattamente dalla sua esplosione, che potranno nascere le possibilità di ri/organizzazione ad un livello superiore di vivere.
VORREMMO INSOMMA, FARE PER PRIMI QUELLO CHE, CON UNA
PAROLA CHE NN ESISTE NEI NOSTRI VOCABOLARI:
"MAMIHLAPINATAPAI"
che significa, (dal lessico yahngan): "GUARDARE NEGLI
OCCHI SPERANDO CHE L'ALTRA PERSONA FACCIA -QUEL- QUALCOSA
CHE ENTRAMBI DESIDERANO ARDENTEMENTE MA CHE NESSUNO DEI DUE
VUOLE FARE PER PRIMO.
l'uomo comune vede in una merce nient altro che una merce invece di scorgervi un momento di cristallizazione della lotta di classe: egli vede nei difetti delle merci difetti, invece di vedervi il risultato di un conflitto dell operaio con se stesso e con lo sfruttamento. (pierre chalieu "sul contenuto del socialismo" -socialisme ou barbarie nr22-)
bisognerà lasciarla ma nn senza aver tentato una volta di impadronirsene a forza aperta. bisognerà (infine) lasciarla, dopo tante altre cose, per seguire la via determinata dalle necessità della nostra strana guerra che ci sta portando così lontano.
ci facciamo vanto di fare arte e guerra di guerriglia con qualsiasi cosa. e troviamo divertente che ci critichino e se ne lamentino proprio coloro che hanno lasciato fare di tutta la loro vita nn importa cosa.
e sempre vale, con le parole di palaniuk, che una cosa è certa: "il peggiore dei pompini sarà sempre meglio, per dire, della più profumata rosa, del più fantastico dei tramonti, delle risate dei bambini. io nn credo che leggerò mai una poesia bella quanto uno di quegli orgasmi che ti mandano a fuoco, ti fanno venire i crampi al culo, ti inondano le budella. [...] dipingere un quadro, comporre un opera, sono tutte cose che fai per riempire il tempo tra una scopata e l'altra".
il mondo in cui viviamo, prima di tutto nel suo scenario materiale, si rivela di giorno in giorno più stretto. soffocante.
subiamo profondamente la sua influenza e (ma) reagiamo adesso secondo i nostri istinti piuttosto che secondo le nostre ispirazioni.
in una parola, questo mondo comanda il nostro modo di essere e così ci schiaccia.
è solo dal suo riassetto, più esattamente dalla sua esplosione, che potranno nascere le possibilità di ri/organizzazione ad un livello superiore di vivere.
VORREMMO INSOMMA, FARE PER PRIMI QUELLO CHE, CON UNA
PAROLA CHE NN ESISTE NEI NOSTRI VOCABOLARI:
"MAMIHLAPINATAPAI"
che significa, (dal lessico yahngan): "GUARDARE NEGLI
OCCHI SPERANDO CHE L'ALTRA PERSONA FACCIA -QUEL- QUALCOSA
CHE ENTRAMBI DESIDERANO ARDENTEMENTE MA CHE NESSUNO DEI DUE
VUOLE FARE PER PRIMO.
l'uomo comune vede in una merce nient altro che una merce invece di scorgervi un momento di cristallizazione della lotta di classe: egli vede nei difetti delle merci difetti, invece di vedervi il risultato di un conflitto dell operaio con se stesso e con lo sfruttamento. (pierre chalieu "sul contenuto del socialismo" -socialisme ou barbarie nr22-)
.
con i sogni del mondo dentro il palmo della mano!
serve ancora la psico-geografia?
Viviamo una fase storica in cui il cortocircuito tra locale e globale si fa mordente. La crisi economica ha fatto precipitare il consenso nei confronti della globalizzazione liberista e ridato forza alla sovranità nazionale. La crisi delle socialdemocrazie evidenziata dalle elezioni europee ha messo in luce la sempre maggiore difficoltà della sinistra novecentesca nel porsi come interlocutore dei ceti medi in declino e dei ceti subalterni, nonché a catturare le istanze di rinnovamento e partecipazione delle nuove generazioni.
Italia, estate 2009
Sui nostri territori, ormai non solo del Nord Italia, avanza una cultura della paura che scava negli impulsi più gretti per fornire un’identità localista di tipo vittimistico. La Lega lavora culturalmente per affermare l’esistenza di comunità locali radicate nella tradizione assediati da diversità culturali che minacciano il loro ordine identitario e la loro stessa sopravvivenza. La creazione di questa frontiera immaginaria trova nel vuoto della conflittualità sociale uno spazio politico pericoloso. Perché dalle frontiere immaginarie si passa alla materialità dell’esistenza. Il fatto che siano principalmente i migranti (ma non solo, pensiamo ai precari e ai lavoratori delle aziende in crisi) a pagare la crisi economica rende evidente il rafforzamento di quelle frontiere socio-economiche che pongono i migranti in una situazione di subordinazione nella scala dei diritti.
In una fase dove la “sinistra” sembra disintegrata e distrutta e la destra avanza - nelle sue varie forme - sempre più pericolosamente, serve un momento di riflessione, crescita collettiva, ricomposizione, autoformazione, per moltiplicare le forze del conflitto e sparigliare le carte sul tavolo.
Italia, estate 2009
Sui nostri territori, ormai non solo del Nord Italia, avanza una cultura della paura che scava negli impulsi più gretti per fornire un’identità localista di tipo vittimistico. La Lega lavora culturalmente per affermare l’esistenza di comunità locali radicate nella tradizione assediati da diversità culturali che minacciano il loro ordine identitario e la loro stessa sopravvivenza. La creazione di questa frontiera immaginaria trova nel vuoto della conflittualità sociale uno spazio politico pericoloso. Perché dalle frontiere immaginarie si passa alla materialità dell’esistenza. Il fatto che siano principalmente i migranti (ma non solo, pensiamo ai precari e ai lavoratori delle aziende in crisi) a pagare la crisi economica rende evidente il rafforzamento di quelle frontiere socio-economiche che pongono i migranti in una situazione di subordinazione nella scala dei diritti.
In una fase dove la “sinistra” sembra disintegrata e distrutta e la destra avanza - nelle sue varie forme - sempre più pericolosamente, serve un momento di riflessione, crescita collettiva, ricomposizione, autoformazione, per moltiplicare le forze del conflitto e sparigliare le carte sul tavolo.
CLAN/DESTINI...
Così quando vediamo in giro uno straniero
pensiamo a Enea, a Virgilio, all'Ulisse di Omero
si chiami Zapatero, si chiami Sarkozy
diciamo a 'sti signori qui: chiudiamo i CPT!
lasciamo free (sì free!) chi ha un profugo destino
non chiamiamo mai un uomo clandestino...
pensiamo a Enea, a Virgilio, all'Ulisse di Omero
si chiami Zapatero, si chiami Sarkozy
diciamo a 'sti signori qui: chiudiamo i CPT!
lasciamo free (sì free!) chi ha un profugo destino
non chiamiamo mai un uomo clandestino...
L'ALBERO DEL KILAMATE.
percorsi fisici e non
C’è in Nicaragua un albero che ha nome chilamate. É molto alto e ha molti rami e molte foglie verdi brillanti, grandi quanto la mano di un bambino. Fa anche molta ombra e le radici sbucano dal suolo come nastri dalle morbide curve, così che viene naturale, incontrandone uno, sedersi ad aspettare, per esempio, oppure solamente sedersi. A parte questo non sembra che ci sia in un chilamate alcunché di speciale, e invece c’è.
L’albero è sacro al sogno.
Quando fiorisce (un fiore ogni cent’anni, un solo fiore bianco dai petali carnosi) bisogna prepararsi a passare la notte tra i rami e le radici, portandosi magari una stuoia: arrivati, accertarsi di essere soli (questo è molto importante), accomodarsi al suolo come si può, e disporsi a dormire. Prima che venga il sonno si prega il chilamate di mostrarci nel sogno i nostri desideri più profondi, e come realizzarli: oppure le paure, anche le più nascoste tra le nostre paure, ed allo spirito dell’albero si chiede, in questo caso, di insegnarci come annientarle – o come viverci insieme. Poi si chiudono gli occhi, e si rimane ad aspettare che il sonno venga, e il sogno.
Al mattino, che ci si svegli scossi o sereni, prima di andare via tocca fare tre cose: arrotolare la stuoia, stando attenti a non lasciare tracce della notte nel giorno, arrampicarsi attraversando la chioma folta fino a risbucare sulla cima dell’albero, e lì cogliere il fiore e mangiarlo. Questa è la cosa più importante: se si trascura di farla, chi dovesse passare, nel vedere fiorito il chilamate sicuramente si affretterebbe a salire tra i rami, e, giunto al fiore, lo coglierebbe per il suo profumo dolce e inebriante.
Fin qui, nulla di male: ma nel profumo è oramai contenuto il vostro sogno, ed ecco che, annusando, i desideri vostri diverrebbero i suoi: oppure le paure, le più nascoste tra le vostre paure, prenderebbero il posto delle sue. Le conseguenze sarebbero fatali: privati dei propri desideri, prede degli incubi di un altro, la vita diventa insopportabile, né si conosce rimedio a tanta mala sorte.
In quello stesso istante voi perdereste la memoria, e camminando non vi rendereste conto di camminare, vi chiedereste cosa ci fate con una stuoia sotto il braccio all’alba, non riconoscereste la strada, vi perdereste a un passo dalla casa dove abitate. E non ricordereste nemmeno di aver dormito, cosicché vi verrebbe un gran sonno; da quel momento confondereste la notte con il giorno, la faccia con lo specchio, l’iguana con il gatto, e piano piano il cibo e il libro, la musica e la sete, l’innamorata e il sole e l’ombrello e la pioggia perderanno per voi nome e ragione d’essere.
Seduti sul gradino di una porta,nel chiasso di un mercato, nel silenzio di un vicolo, girandovi e agitandovi in un letto che forse è il vostro (non ne siete sicuri, voi non siete più sicuri di niente) pensate solo che tra cent'anni il chilamate tornerà a fiorire: è l’unica memoria che vi resta, ma non sapete che cosa voglia dire.
L’albero è sacro al sogno.
Quando fiorisce (un fiore ogni cent’anni, un solo fiore bianco dai petali carnosi) bisogna prepararsi a passare la notte tra i rami e le radici, portandosi magari una stuoia: arrivati, accertarsi di essere soli (questo è molto importante), accomodarsi al suolo come si può, e disporsi a dormire. Prima che venga il sonno si prega il chilamate di mostrarci nel sogno i nostri desideri più profondi, e come realizzarli: oppure le paure, anche le più nascoste tra le nostre paure, ed allo spirito dell’albero si chiede, in questo caso, di insegnarci come annientarle – o come viverci insieme. Poi si chiudono gli occhi, e si rimane ad aspettare che il sonno venga, e il sogno.
Al mattino, che ci si svegli scossi o sereni, prima di andare via tocca fare tre cose: arrotolare la stuoia, stando attenti a non lasciare tracce della notte nel giorno, arrampicarsi attraversando la chioma folta fino a risbucare sulla cima dell’albero, e lì cogliere il fiore e mangiarlo. Questa è la cosa più importante: se si trascura di farla, chi dovesse passare, nel vedere fiorito il chilamate sicuramente si affretterebbe a salire tra i rami, e, giunto al fiore, lo coglierebbe per il suo profumo dolce e inebriante.
Fin qui, nulla di male: ma nel profumo è oramai contenuto il vostro sogno, ed ecco che, annusando, i desideri vostri diverrebbero i suoi: oppure le paure, le più nascoste tra le vostre paure, prenderebbero il posto delle sue. Le conseguenze sarebbero fatali: privati dei propri desideri, prede degli incubi di un altro, la vita diventa insopportabile, né si conosce rimedio a tanta mala sorte.
In quello stesso istante voi perdereste la memoria, e camminando non vi rendereste conto di camminare, vi chiedereste cosa ci fate con una stuoia sotto il braccio all’alba, non riconoscereste la strada, vi perdereste a un passo dalla casa dove abitate. E non ricordereste nemmeno di aver dormito, cosicché vi verrebbe un gran sonno; da quel momento confondereste la notte con il giorno, la faccia con lo specchio, l’iguana con il gatto, e piano piano il cibo e il libro, la musica e la sete, l’innamorata e il sole e l’ombrello e la pioggia perderanno per voi nome e ragione d’essere.
Seduti sul gradino di una porta,nel chiasso di un mercato, nel silenzio di un vicolo, girandovi e agitandovi in un letto che forse è il vostro (non ne siete sicuri, voi non siete più sicuri di niente) pensate solo che tra cent'anni il chilamate tornerà a fiorire: è l’unica memoria che vi resta, ma non sapete che cosa voglia dire.
"Dovendo riassumere, direi questo: tutti a sentire, nell'aria, un'incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari. Vedi menti raffinate scrutare l'arrivo dell'invasione con gli occhi fissi nell'orizzonte della televisione. Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato dietro il passaggio di un'orda che, in effetti, nessuno però è riuscito a vedere. E intorno a quel che si scrive o si immagina aleggia lo sguardo smarrito di esegeti che, sgomenti, raccontano una terra saccheggiata da predatori senza cultura. I barbari, eccoli qua. Ora: nel mio mondo scarseggia l'onestà intellettuale, ma non l'intelligenza. Non sono tutti ammattiti. Vedono qualcosa che c'è. Ma quel che c'è, io non riesco a guardarlo con quegli occhi lì. Qualcosa non mi torna.”
puoi inviarmi commenti e domande da qui
Thank you, your message has been sent